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Moonlight Festival IV Edizione

Bologna Zona Roveri 09-10-11/11/2012

 

Ci sono attimi che si disegnano nella storia dei secondi che trascorrono e altri che si fermano insieme al tempo, disquisendo sul significato di una visione silenziosa, dal passo melodico. E’ l’amore di una frazione di secondo, è l’attimo fuggente, il déjà vu rispettoso che non si stanca mai di esistere. In questo microcosmo è ben vivo il sentimento, la pulsazione vibrante di un cuore in simbiosi con l’ambiente esterno, in fusione perenne o in conflitto di conoscenza. La visione dell’insieme costituisce il quadro ottico di una focalizzazione naturale del proprio corpo con l’estraneità. Il tatto e la vista assemblano le informazioni emotive e da qui il primo passo dentro il cuore del Moonlight Festival è compiuto.

Se ci dicessero che i Festival sono un punto d’incontro popolare pacchiano e disinvolto, ciò farebbe storcere il naso anche al più solare dei clown sulla faccia della terra. L’intervallo tra la razionalità e la follia è quell’antro semi-sconosciuto dove alberga la voglia di evadere, vibrare con la musica ed entrare in contatto con altri esseri umani. Tutto ciò può avvenire anche grazie alla freddezza degli strumenti e delle costrizioni regolamentate dagli umani stessi, in un ensamblement di po(si)zioni magiche, armoniche.

 

La location 2012 mantiene il calore meteorologico estivo delle precedenti edizioni solo tra le pareti della Zona Roveri, ove si svolge la messa collettiva del rito “sinfonico”: voce, suoni rumori parti metalliche e onde devastanti tra chitarre, bassi e batterie “elettriche”. Una scarica di vitalità ed una vasta scelta studiata dagli organizzatori, ancora una volta Piero Balleggi e Annalisa Magi, due anime dark dalla presenza orchestrale e ben orchestrata; fautori di quell’istinto collettivo chiamato a raccolta dalla wave, dal post-punk e dall’elettronica: condivisione. Ecco cosa distingue l’amore per la musica dall’amore per lo sporco denaro. La passione per un recupero di cultura, l’onda emotiva non-anomala che spazza via le “circostanze” e spiana la strada ad una marcia sanguigna di ardore musicato, parlato, cantato, guardato, ascoltato, leccato, succhiato, divorato.

 

Venerdì 09 Novembre i Disciplinatha hanno urlato la loro orgogliosa appartenenza ad un mondo che ancora vive nei sottoboschi della quotidianità: il canto popolare, la new wave emiliana che ha radici tra i campi (le mondine in coro) e sui monti (gli alpini in coro). Un accoglienza e un successo clamoroso, figlio di quell’intensa estasi epica, tipica di chi vuole stupire dialogando, e di chi vuole identificarsi in puro istinto ricettivo, attraverso un momento di attesa e inaspettata carezza emotiva. Parate militari, voce alla Storia e catene come percosse sulle lamiere del tempo, i Disciplinatha alimentano le corde vocali dell’anima e ne agitano il riverbero dato dall’ansia e dall’accesa aritmia del nucleo storiografico cerebrale. Industrial e punk, estetica e linguaggio musicale fuori dai binari.

I Fangs on Fur (nella foto) hanno sciorinato invece un eccentrico death rock-punk emblematico della scena losangelina, contrassegnato da sonorità tipicamente spaghetti western e spy guitar, che, insieme al rock e a pesanti ritmi tribali, ha celebrato l’istinto animalesco di F-Girl, leader indiscussa del palco.

Joy Division e Bauhaus si sono impossessati di O.Children, affondando le radici nella new wave e nel post-punk sotto la stretta revisione del frontman anglo-africano Tobias, oltre 2 metri (in altezza) di scie taglienti e profonde, completamente modellate da una voce sorprendente. Una prima serata caratterizzata da un’ottima selezione musicale, riprodotta con capacità tecniche e qualità di indiscusso valore. La location ha rispettato le premesse, composta nell’area esterna da una vasta “piazzetta” ricca di intrattenimento dark: capi di abbigliamento da tutto il mondo e ristorazione molto apprezzata. All’interno ampi banchetti dedicati alla cultura musicale (cd e rarità varie) e al collezionismo celebrativo (t-shirts e merchandising ufficiale, anche delle band in lista). L’ottima affluenza della prima giornata ha inorgoglito gli organizzatori a tal punto da farsi riprendere live da una televisione locale che ha trasmesso quasi un’ora di backstage a tinte dark. Ma purtroppo non tutto il “nero” di questo festival è stato luccicante.

 

Sabato 10 Novembre ha visto l’esibizione “alternativa” di David J. (storico bassista dei Bauhaus), alle prese con un live acustico jazzato di rara fattura, “complicato” all’interno di un festival-contesto dedicato alla new wave e al periodo dark ’70-’80. Gli applausi stentati delle poche unità presenti non hanno reso onore ad un artista eclettico, che ha attraversato la storia ponendosi sull’altare della celebrità con dedizione e fascino. Quel fascino che lo ha accompagnato anche nel djset del giorno a seguire, così alto e slanciato ma minuto in quel corpo datato ma pur sempre elegante. Il suo incedere blues ha scavato nel cuore dei presenti un’insolente spossatezza che avremmo noi tutti volentieri rigettato, non fosse stato per l’occasione sbagliata scivolata via in una serata nata “stanca”. La pioggerella guasta la passeggiata nell’area esterna, mentre tra le quattro mura parte la band emergente vincitrice del Gothic Room 2012 organizzato da Darkitalia: The Shimmer, figlio dell’incontro/scontro tra adulatori dell’elettronica (synth e programmazione) in aperta dedizione per la new wave britannica. Ma è la sensualissima Candia Ridley degli Inkubus Sukkubus a risvegliare la “molliccia” adunata sotto il palco: goth-pagan d’atmosfera, carico di adrenalina “vampiresca”, apripista ideale per la reunion di Kas Product, duo francese che negli anni ’80 esibiva un invidiabile look androgino. Coldwave ed elektropunk uniti dall’energica possenza di Mona Soyoc, anch’egli in forma smagliante nonostante l’incedere dell’età non risparmi nessuno. Elettronica minimale a tratti disturbante, fiera espositrice di una ritmica ossessiva e di un cantato trasversale, molto più punk di quanto il loro ex-look “composto” potrebbe far pensare. Una seconda serata tutto sommato scialba e dallo spessore altalenante, non supportata da un adeguato seguito locale, forse impegnato in ben più solidi territori musicali, data la contemporaneità del festival con pop-lives in altre locations cittadine.

 

Domenica 11 Novembre è stato il giorno della chiusura, il giorno della resa dei conti, con un botteghino senza dubbio deludente (un Sabato ulteriormente dimezzato) e un cast di artisti all-italians emergenti e di sicuro talento (non capiti dal pubblico pagante). I Soviet Soviet ci sanno fare, sanno suonare con disinvoltura sfruttando al meglio le ritmiche post-punk del periodo dark, vicini come non mai (anche vocalmente) al Brian Molko dei tempi migliori. Celebrato (con svogliatezza) e motivato, il gruppo ha immaginato di trovarsi di fronte ad una folta platea nel tentativo (ottimo) di compensare lo scarso rendimento dei presenti, addormentati e annoiati dopo una tremenda paralisi fisico-cerebrale (ai limiti dell’inspiegabile, o forse è tutto molto spiegabile…we are italians). In precedenza Eggsite, una sorta di collettivo indie-rock-pop-wave, ha scatenato la rabbia della cantante dietro vocalizzi pop dark dal forte impatto sonoro. Forse il tecnico del suono dell’intera serata ha peccato in “dimensione suono” tenendo al massimo l’impianto, steccando così laddove i considerevoli buchi sotto il palco non erano in grado di “fare massa” contro il muro del suono. Nota stonata per Last Movement, indecenti nel look ma in grado di smuovere cariche elettriche dark-coldwave non indifferenti, insieme ad echi shoegaze e nu-gaze, seppur impalati in una staticità fin troppo tecnica e autoreferenziale. Ci ha pensato la magia degli Starcontrol a diradare la nebbia, band che ibrida new wave, post-punk e wave anni ’80, cavalcata dalla splendida voce di Davide Di Sciascio, spigoloso man dalla forte somiglianza col leader degli A-Ha (Morten Harket) e dalla timbrica vocale baritonale molto interessante. Band di rara intensità (per la giovane età dei componenti) che ha attirato l’interesse (con tanto di piedino danzante) di David J, chissà pronto a cogliere la palla al balzo e a tirare fuori dal cilindro una proposta di lavoro unica (laddove l’Italia ignora l’esistenza di un qualche barlume di qualità compositiva).

 

Il Moonlight Festival giunto alla IV edizione ha dovuto far fronte alle solite difficoltà tutte italiane di capire un progetto culturalmente sostenibile, saltando così l’edizione estiva. Dopo l’episodio felicissimo in quel di Rimini (2011), séguito delle due indimenticabili esperienze in quel di Fano (2009 e 2010), la quarta parte ha portato avanti un’idea che è ormai cardine fisso di una esperienza collettiva in continua crescita. Appuntamento (questa volta sì…spera) alla Nuova Estate 2013.

Matteo Chamey

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