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MOGWAI A TODAYS 2018 – IL REPORT

Torino | TOdays, sPAZIO211 | 25 agosto 2018

Non so se sia poco ortodosso dire che la splendida performance dei MOGWAI non ha fatto rimpiangere lo show degli eppur attesissimi MY BLOODY VALENTINE, cancellato dall’agenda per motivi non meglio noti. Ma è quello che effettivamente è successo al sottoscritto dopo aver assistito alle ineguagliabili prodezze concertistiche della formazione di Glasgow sul palco di sPAZIO211. Quando suonano dal vivo i Mogwai sono una forza della natura che dà il meglio di sé, riescono a far breccia sulle nostre corde come un’ennesima riscoperta, come un ritorno di fiamma cui non è facile opporre resistenza. Questione di chimiche. La loro non è innovazione compositiva fine a sé stessa, non è soltanto radice post-rock e fremito d’avanguardia riposto nelle mani di artisti eccezionali, ma sinfonia dell’anima allo stato puro. Hanno calamitato i centri neuronali dei presenti regalando un’esibizione mai così avvincente e stellare, un viaggio nell’ignoto di una dimensione parallela ancora tutta da scoprire, intuizioni di forma e di sostanza che non ricordavamo così immersive e trascinanti. Un concerto a futura memoria, protrattosi per circa un’ora e mezza di totale coinvolgimento fisico-cerebrale, di catarsi ininterrotta e brivido di trascendenza mai sconfessati un sol momento. Notevole la carrellata dei brani opzionati per l’occasione, sottratti alle diverse annate del loro catalogo album, molti dei quali da Every Country’s Sun del 2017 più una primizia (puro miraggio post-punk) dalla colonna sonora prossima a venire, con buona pace dei puristi e dei fans della prima ora. Ma come si fa a non amare la vena lisergica di questa ultima fase creativa, la sensoriale bellezza della danza astrale e dello stacco chitarristico che s’infrange sulle rocce del suono in mille rivoli di musica oltre la musica? Come si fa a non invaghirsi di meraviglie rifulgenti come gli arcobaleni siderali di Crossing The Road Material e Coolverine o come la kraftwerkiana Don’t Believe The Fife e la emorragica traccia omonima? Ellissi di armonie gravitazionali che in versione da palco paiono ulteriormente caricarsi di spleen recondito e soffio ultraterreno, di energie arcaiche e futuribili allo stesso tempo. Hanno traghettato in un dedalo di esperienze acustico-molecolari dove tutto era alchimia ipnotica e fuga dalla realtà, grido feroce e calma cosmica, fascino enigmatico e trip onirico senza soluzione di continuità. Hanno iniziato sulle mesosfere elettriche di New Paths To Helicon, Pt. 1 e planato tra i ghiacci e le fiamme di Mogwai Fear Satan, l’inno per eccellenza di questi architetti dell’udito che non finiranno mai di stupire. Più che un concerto la tribù scozzese ha officiato una cerimonia taumaturgica dal sapore arcano, un rito potentissimo dove ogni impulso, accordo, silenzio, rumore, eco, voce filtrata, taglio di frequenza aveva il suo dannato perché. Non v’è esegesi né analisi critica in grado di descriverne l’armonia stregata e l’intuizione geniale.

Aldo Chimenti

ph Loris Brunello         

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