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MIRACOLO A LE HAVRE

Di Aki Kaurismaki, Danimarca, Francia 2011-11-21

 

Aki Kaurismaki è un illustre visionario dei giorni nostri.

Ogni sua realizzazione è un sollievo per i nostri occhi e per i nostri cuori, ache se speesso ce ne dimentichiamo,  fino a che non ci regala un nuovo episodio della sua carriera, lasciandoci sempre senza parole.

Non fa eccezione LE HAVRE, (non si capisce perché i distributori italiani della pellicola abbiamo voluto aggiungere quel superfluo suffisso “Miracolo”…) , una storia, semplice, forse una favola, di semplicità e sentimento a dimostrazione che bastano pochi ingredienti per fare cinema di qualità.

L’autore lo definisce un film che ha poco di realistico, ma noi vogliamo contraddire questa tesi perché il mondo si muove ancora e grazie anche a chi fa azioni nella vita senza essere spinto da secondi fini, ovvero dalla solidarietà e da quell’amore che contraddistingue anche solo un rapporto cane –padrone o una relazione di coppia basta su una silenziosa complicità.

Molti sono i rimandi ai trascorsi film di Kaurismaki: i silenzi di “Juha”, i ritratti di “Vita da Boheme” con i suoi attori magnificamente feticci:

la imperturbabile Kati Outinen (Ariety nel film) , i cui occhi vanno al di là della sua malinconica espressione e il fido Andrè Wilms, (Marcel) personaggio davvero unico quanto reale nella sua  rappresentazione.

Le Havre potrebbe essere una sorta di Lampedusa, in cui transitano le navi cariche di clandestini, ove i governi europei cercano di arginare il flusso con controlli improvvisi quanto sistematici, ai quali però sfugge un ragazzini africano, che Marcel decide di prendere sotto la sua  protezione.

Infattoi il protagonista è una figura umile ma rispettata nel suo quartiere che decide di spezzare la sua vita monotona ma dignitosa tra continue visite al bar e il lavoro di lustrascarpe. A movimentare un po’ la situazione ci si metteranno poi la malattia di Arietty, le domande del commissario (interpretato da Jean Pierre Daroussin, nuovo nel mondo di Kaurismaki, ma già ben calato nell’atmosfera) le soffiate di un informatore (l’impareggiabile ed unico Jean Pierre Leaud) e l’ingresso in scena di un personaggio incredibile nella parte di se stesso, Bob Piazza o se preferite Little Bob: una sorta di mix tra un Johnny Halliday di periferia e un Elvis dei nostri giorni, che ha vissuto momenti di gloria in Francia negli anni 70.

Concludiamo con una frase, emblematica, del grande regista:

“Non accade spesso che il cinema europeo affronti il tema della sempre più grave crisi economica, politica e soprattutto morale che ha portato alla questione irrisolta dei profughi: persone che arrivano dopo mille difficoltà nell’Unione europea e subiscono un trattamento irregolare e spesso inadeguato. Non ho soluzioni da proporre, ma ho voluto in qualche modo affrontare la questione, anche se in un film che ha poco di realistico.”

Ma noi, grazie  a Kaurismaki riusciamo comunque a sognare.

Fabio Vergani

 

 

 

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