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HENRY COW

Forlì, | Teatro Diego Fabbri 23 novembre

Non avrei creduto che avrei avuto nella mia vita l’opportunità di rivedere Henry Cow dal vivo. Me li ricordo nel 1978 a Piacenza, allo stadio. Memorabile evento. Mi dirigo in Romagna, a Forlì timoroso di una delusione. Come saranno ora? Sebbene sia in contatto con alcuni di loro, da Fred Frith a John Greaves, li ho sempre trovati in forma smagliante, sempre un passo avanti, ciascuno nella propria carriera, rifratta in tante declinazioni. Invece la breve reunion (tre soli concerti) in memoria della defunta Lindsay Cooper, fagotto e oboe della formazione originale, ha donato un’esperienza impressionante e indimenticabile.

La formazione è quella allargata che vedeva John Greaves al basso e voce, Fred Frith alle chitarre, Zeena Perkins arpa e tastiere, Dagmar Krause, Sally Potter e Phil Minton alla voce, Tim Hodgkinson e Alfred Harth ai sax, Anne Marie Roelofs al trombone e al violino, Chris Cultler alla batteria, Veryan Weston al piano e Michel Berckmans alle doppie ance, il posto di Lindsay.

Brani dal repertorio della Cooper, degli Henry Cow e dei News From Babel: insomma, una fetta non indifferente dell’avanguardia inglese degli ultimi trent’anni e più.

Una menzione particolare a Phil Minton, dalle mille voci, vero genio, e a John Greaves, figura ingiustamente sottovalutata, uomo chiave di molte situazioni a cavallo tra canzone d’autore, avanguardia e nuova musica. Il pubblico in standing ovation per le oltre due ore e mezza di un concerto complesso e ammaliante come pochi, ricco di commozione, poetiche e linguaggi. Come ricordava Sally, sembrava davvero che lo spirito di Lindsay fosse ancora li con noi. Finito il concerto, esco dopo un po’ con i musicisti: davanti al teatro una cinquantina di persone li attende per un ultimo, sentito, lungo applauso en plein air.

Massimo Marchini

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