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GIOVANNI LINDO FERRETTI

La Latteria sfiora il sold out e confesso di essere un po’ sorpreso: non credevo che il profeta del punk padano godesse ancora di un seguito simile.

Ferretti negli ultimi anni si è avvicinato a posizioni di stampo rossobruno, flirtando con la destra radicale: ha scelto una nuova linea cui essere fedele, ma qui si parla solo di musica ed è giusto accantonare ogni elucubrazione socio-politica e filosofica (tant’è vero che in mezzo alla folla spuntano creste da mohicano che strappano un sorriso: il punk è vivo e lotta insieme a noi?).

Il concerto è una sorta di esperienza mistica: Ferretti, a metà strada fra il muezzin e il punk rocker, predica sullo sfondo di violino/chitarra e batteria, tuonando contro i mali della contemporaneità in modi e forme sempre personali.

I momenti migliori si iscrivono nella fase più sperimentale della sua carriera, in odore di post-punk e hardcore americano: Mi ami?, proposta in versione più eterea, è sempre un salutare pugno nello stomaco; Curami, con un ritornello che diventa psichedelico, regala forse il momento più alto della serata, trascinando il pubblico in un coro mentre Ferretti esibisce le sue nevrosi senza pudori.

La straordinaria Oh! Battagliero, secondo singolo dei CCCP che furono, cattura nuovamente il pubblico in una corale convinta. Madre rivela la passione maturata da Ferretti negli ultimi anni per il cattolicesimo, ed è una ballata ariosa.

Radio Kabul, presentata in una versione abbastanza fedele a quella originaria, si colloca a metà strada fra il mediterraneo e il modale del medioriente; Insh’Allah ça va è un altro pezzo di storia: la tradizione degli chansonnier piegata alle esigenze del punk mediterraneo di Ferretti, con un corredo melodico di prim’ordine. Amami ancora (resa più celebre da Gianna Nannini) innesca un momento di inatteso romanticismo nel quadro disegnato da Lindo, e funziona bene.

Per me lo so ed Emilia Paraonica – benché trasfigurata in versione wave danzabile, sfrondata dalla meravigliosa pesantezza dark punk dell’originale – regalano le ultime scariche di adrenalina. Parte dei brani restanti, estrapolati da Linea Gotica (c’è la splendida Cupe Vampe) o dagli ultimi lavori del Ferretti solista, per chi scrive sono riproposti in una versione un po’ monocorde: Ferretti salmodia sopra un tappeto dominato dalle arie mediterranee del violino e ammorbidisce toni e ritmi rispetto a quasi tutte le versioni immortalate su disco. Più che altro manca l’esplosiva creatività melodica che rende i classici dei pezzi da novanta: Depressione Caspica, Guerra e Pace e altri brani simili sembrano accartocciarsi su sé stessi, senza mai regalare un sussulto.

Poco male: nei momenti migliori, Ferretti si dimostra per l’ennesima volta un interprete, anzi uno sciamano circondato da un’aura quasi mistica.

Francesco Buffoli

Brescia | Latteria Molloy | 13 gennaio 

ph Elena Pagnoni

www.elenapagnoni.it

 

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