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EXHIBITIONISM – THE ROLLING STONES

Londra | Saatchi Gallery | 5 aprile – 4 settembre

Restano ancora pochi giorni per visitare la bella mostra che la Saatchi Gallery di Londra ha dedicato alla storia e al mito dei Rolling Stones, organizzata con la piena collaborazione dei membri della band. Exhibitionism – The Rolling Stones a novembre prenderà poi la via degli Stati Uniti, dove sarà visibile agli Industria Superstudio di New York, e ci si augura che questo trend delle mostre itineranti la possa prima o poi condurre anche in Italia, così com’è successo per la altrettanto bella mostra su David Bowie, nata al Victoria&Albert Museum di Londra nel 2013 e ora approdata a Bologna (MAMbo, fino al 13 novembre).

Proprio come la mostra su Bowie, anche Exhibitionism, ha potuto contare sulla collaborazione dei musicisti a cui è dedicata e quindi gli organizzatori hanno potuto attingere agli archivi della band e agli archivi personali degli artisti stessi ed esporre così materiale originale e molte curiosità mai viste prima o raramente apparse, tra costumi di scena, strumenti musicali, fotografie, disegni, poster, diari personali, per un totale di oltre 500 pezzi suddivisi in nove gallerie tematiche.

La prima galleria, Ladies & Gentlemen, è un’introduzione generale al mondo Rolling Stones. Su una parete vengono proiettate in rapida successione le date delle centinaia di concerti e vengono presentate le immagini e i dati riepilogativi della carriera. Si comincia poi il percorso dagli esordi e, in particolare, in questa prima sezione è stata creata una ricostruzione dell’appartamento che Mick Jagger, Keith Richards e Brian Jones condividevano nei primi tempi, basandosi sui ricordi dei due Stones rimasti, visto che non ci sono fotografie di quell’appartamento che era in pratica un ammasso non particolarmente pulito e decisamente caotico di piatti sporchi, vestiti sparsi sul pavimento, portacenere strapieni e cicche di sigarette ovunque, oggetti vari buttati qua e là e dischi, quei dischi di blues che hanno ispirato gli inizi e che hanno permesso a Mick e Keith di incontrarsi e cominciare a suonare quel tipo di musica che ai tempi nessuno si filava.

La mostra continua con foto e oggetti relativi agli esordi, dai diari, piccolissimi e fittissimi, di Keith Richards alle foto e alle testimonianze collegate ai loro idoli, i maestri del blues, inclusa una bella testimonianza video di Muddy Waters che racconta come gli Stones abbiano ridato vita alla sua carriera facendo conoscere la sua musica e il blues ai giovani.

La sezione seguente è dedicata alle session di registrazione. È stata ricreata, ed è visibile dietro un pannello di vetro, la sala d’incisione degli Olympic Studios di Londra nei quali i Rolling Stones hanno registrato Sympathy for the Devil e altri brani. In una sala adiacente sono esposti gli strumenti originali usati dai membri della band, le chitarre e i bassi di Keef e Ronnie, una batteria completa. C’è anche la Gibson del 1957 che Keith Richards ha dipinto con colori psichedelici durante un trip da acido. Poi ancora foto e video e musica da ascoltare in cuffia, con la possibilità di operare, su alcuni brani, come tecnici del suono in una postazione interattiva, regolando voci e strumenti.

Segue la sezione film e video, con estratti dei numerosi film girati sugli Stones, soggetto con il quale si sono cimentati i più grandi registi, quali Jean-Luc Godard, Martin Scorsese, Julien Temple, e un montaggio dei più noti videoclip, spesso girati da registi altrettanto importanti.

 


Alcune stanze sono poi dedicate alla grafica e all’immagine iconica che i Rolling Stones sono progressivamente diventati. Si inizia dal logo, con le prove realizzate da John Pasche per la versione originale e con le numerose reinterpretazioni che ne sono state fatte nel corso del tempo. Pasche spiega come l’idea del logo sia nata da un’immagine della dea indù Kali che mostra la lingua e che era piaciuta molto a Mick Jagger, ma che non c’era nessun riferimento voluto alle labbra di Mick. In ogni caso si tratta di una delle immagini più potenti nella storia del rock, in grado di riassumere l’essenza stessa di quella musica, il rock, che nasceva proprio negli anni ’60 come moto di ribellione ed espressione della controcultura giovanile e della rivoluzione sessuale. Cosa c’è di più efficace e rappresentativo di un’epoca di quella linguaccia che simboleggia sia un gesto di contestazione sia un riferimento sessuale?

Continuando il percorso della mostra, che ci ha coinvolto per diverse ore, si arriva poi piuttosto storditi dalle emozioni alle sale più coreografiche. La prima dedicata alla grafica, meravigliosa, che ha accompagnato la carriera della band, dai manifesti dei concerti, alle immagini promozionali, dai disegni alle copertine dei dischi, con gli aneddoti collegati, come quello legato alla copertina di Some Girls ideata da Peter Corriston, che vede i volti degli Stones nascosti in sagome femminili tra volti di donne famose. Lucille Ball, Farrah Fawcett, Liza Minnelli (per sua madre Judy Garland), Raquel Welch e gli eredi di Marilyn Monroe hanno però fatto causa alla band poiché non era stato chiesto loro il permesso e la copertina ha dovuto essere rifatta togliendo quei volti. E naturalmente i lavori di Andy Warhol, dalla copertina di Sticky Fingers ai vari ritratti. Questa sala è dedicata anche alle scenografie dei concerti, accuratamente studiate e curate dagli stessi membri del gruppo, insieme ai tecnici e agli esperti. Nulla è mai stato lasciato al caso nella storia della band, non la musica ovviamente ma nemmeno tutto ciò che le sta attorno e che non è certo meno importante. Lo spiega in una delle didascalie esposte Mick Jagger: “Le immagini che si trasmettono sono molto importanti. Ai musicisti piace dire che quello che conta è solo la musica. Non lo è naturalmente. Conta come ti vesti, come appari, qual è il tuo atteggiamento – tutte queste cose”. La didascalia accompagna la spettacolare sala dedicata allo stile e alla moda che propone, ordinata cronologicamente, una selezione degli abiti della band, in prevalenza usati nei concerti, e che diventa in pratica una piccola storia della moda nel rock, dallo stile psych-beat degli inizi al glam dei 70’s alle provocazioni recenti. Anche in questo campo c’è stata la collaborazione dei più importanti stilisti e ci sono nomi come Ossie Clark, Mr. Fish, Granny Takes A Trip, Alexander McQueen, Dior, Prada.

A questo punto del percorso si è già in estasi permanente ma la mostra si conclude addirittura col botto. Dopo la sala dedicata alla moda c’è una penultima sezione nella quale sono esposti vari abiti e oggetti personali e curiosi, recuperati o comprati durante i loro tour. Nell’ultima sala è stato ricreato il backstage e dal backstage si accede allo stage e, dotati di occhiali 3D, si assiste a una proiezione tridimensionale di una performance live che ci catapulta a pochi passi da Mick, Keith, Ronnie e Charlie sul palco.

Rossana Morriello

 

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