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Breve rassegna sul cinema punk

I did it my way. Essere punk è il titolo che il Torino Film Festival (TFF), da poco conclusosi, ha dato alla retrospettiva dedicata al cinema punk, ideata per celebrare la ricorrenza dei quarant’anni dalla pubblicazione del primo singolo dei Sex Pistols, Anarchy in the UK, avvenuta il 26 novembre 1976. Una selezione, quella presentata al TFF, che ha accostato film molto diversi per intenti e modi di rappresentare questo fenomeno musicale e culturale e che ha permesso quindi di avere una visione ampia su come il cinema si sia rapportato al punk. Innanzitutto, evidenziando le due anime del punk, quella americana e quella inglese, molto diverse nella loro stessa essenza. Nato, com’è noto, negli Stati Uniti a metà anni ‘70, e con band che in qualche modo ereditavano il lascito dei grandi precursori del decennio precedente, dagli Stooges ai Velvet Underground, il punk è stato un movimento che esprimeva il disagio e la disperazione della nuova generazione di giovani e, dal punto di vista musicale, un ritorno a forme sonore più radicali e di base, lontane dai virtuosismi del progressive, che consentivano anche ai ragazzini con pochi mezzi e poche conoscenze tecniche di mettere su una band.

I due film inglesi programmati al festival hanno un tono molto diverso da quelli americani. Sid e Nancy, diretto da Alex Cox (UK, 1986), è una sorta di versione esasperata della storia di Sid Vicious dei Sex Pistols e della sua compagna Nancy Spungen, quasi parodistica, tra droghe ed eccessi di ogni genere, con l’interpretazione dei due personaggi davvero poco credibile e un continuo indugiare sugli aspetti superficiali e provocatori ma senza riuscire a scalfire neanche la superficie di quella realtà. Un film che non ha fatto certo del bene all’immagine del punk, probabilmente anche perché arrivava in un momento in cui il punk era già finito. Discorso diverso per i film contemporanei al movimento nel momento del suo apice, la fine dei ‘70.

Jubilee (UK, 1978) di Derek Jarman, è un film costruito con uno stile e un’estetica punk ma non schierato a fianco del movimento, tanto che ai tempi fu per questo contestato. Non c’è una vera e propria storia ma una sequenza di episodi che hanno come filo conduttore un gruppo di amiche che per combattere la noia e l’apatia, e nello spirito nichilistico del punk, compie atti di violenza e vandalismo, tendenzialmente verso malcapitati uomini. Le ragazze nelle loro azioni inneggiano a Valerie Solanas, femminista radicale e autrice del Manifesto SCUM, pubblicato nel 1967, che sosteneva il ruolo negativo avuto nella storia dagli uomini, identificandoli come la causa di tutti i problemi sociali ed economici e affermando la necessità che le donne assumessero il comando con l’eliminazione del maschio. La Solanas è nota anche per aver tentato di assassinare Andy Warhol, a colpi di pistola nel 1968. Il tutto è raccontato come un flashforward in cui la regina Elisabetta II vede quello che accadrà nel futuro, negli anni ‘70, con l’aiuto di Ariel (personaggio di La Tempesta di Shakespeare). Nel film compaiono diversi musicisti come Adam Ant, Toyah Wilcox, Wayne County, le Slits e il performer Lindsay Kemp.

In entrambi i film inglesi è evidenziato l’aspetto commerciale del punk, di certo estremizzato in Gran Bretagna dalla presenza di un gruppo come i Sex Pistols con tutto il clamore mediatico e con la figura, sempre molto contestata, di Malcolm McLaren, com’è ovvio presente in Sid e Nancy. In Jubilee compare invece la figura di Borgia, cinico discografico che pensa solo ai suoi interessi commerciali e ai soldi che potrà guadagnare.

I film americani presentati al TFF mostrano un’altra visione. In alcuni i personaggi punk vengono inglobati appieno nei generi tradizionali, come l’horror in Il ritorno dei morti viventi di Dan O’Bannon (Usa, 1985), in cui un gruppo di punk si trova a fronteggiare un’invasione di zombie, con una colonna sonora a tema con Cramps, Damned, T.S.O.L., tra gli altri, oppure la commedia musicale in Rock’n’Roll High School di Allan Arkush (Usa, 1979), quasi un film promozionale sui Ramones.

Hanno un taglio diverso invece i due film di Penelope Spheeris, regista, produttrice e scrittrice, di certo più vicina lei stessa personalmente al punk, tanto da poterne cogliere gli elementi essenziali non solo nel suo capolavoro, il documentario The Decline of Western Civilization, ma anche in un film in senso stretto, con una trama inventata, come Suburbia. The Decline of Western Civilization (Usa, 1981) è un documentario imprescindibile per la storia del punk. Girato tra il 1979 e il 1980 a Los Angeles, offre un ritratto a tinte forti (ma realistiche) della scena punk di LA, tanto forti che la polizia tentò di impedirne la diffusione. Senza nessun velo, la Spheeries racconta le band tramite interviste, spezzoni di concerti e frammenti di vita privata dei loro componenti con tutto quello che ne consegue, eccessi, droghe, violenza sopra e fuori dal palco, pogo, risse, linguaggio provocatorio e ovviamente musica dura. I nomi sono quelli che hanno fatto la storia del punk: Alice Bag Band, Black Flag, Circle Jerks, Catholic Discipline, Fear, Germs, The X. Ma nel documentario c’è anche tutto ciò che stava attorno alle band, i locali in cui suonavano e le fanzine come Slash. Diretto, genuino, potente, una delle migliori realizzazioni cinematografiche sul punk, cui hanno fatto seguito la parte II dedicata all’heavy metal e la parte III, uscita nel 1998, sulla nuova scena punk.

Suburbia (Usa, 1983) è la storia di un gruppo di punk che, abbandonate le famiglie, spesso borghesi ma con storie di abusi, alcolismo e disagio alle spalle, vivono tutti insieme in una casa occupata, ovviamente mal tollerati dagli abitanti della vicina città che organizzano continue rappresaglie armate, conducendo la storia, nonostante la protezione del padre di uno dei ragazzi che è un poliziotto, verso un’inevitabile tragedia. Tra gli interpreti, un giovane Flea, il bassista dei Red Hot Chili Peppers, nel ruolo di Razzle, uno dei punk.

L’ultimo dei film presentati al TFF è il documentario The Blank Generation (Usa, 1976) diretto da Amos Poe e Ivan Kral, chitarrista e bassista quest’ultimo, che ha suonato con Patti Smith, Blondie, Iggy Pop, e che era a Torino per presentare il film e come testimonial della rassegna sul punk. Il documentario prende il titolo da un brano di Richard Hell, musicista in band come Television e Heartbreakers prima di formare Richard Hell & The Voidoids ed è in pratica un montaggio di riprese amatoriali delle performance di questi e altri gruppi punk, tra cui Ramones, Talking Heads e New York Dolls. Come ha spiegato lo stesso Kral al pubblico del TFF, le riprese nascono come video girati da lui per registrare quello che accadeva a New York, città dove si era trasferito con i genitori dalla nativa Praga, e mostrarlo poi agli amici, con una videocamera amatoriale e senza sonoro perché non si poteva permettere una strumentazione migliore. Il sonoro musicale è stato aggiunto solo in seguito, nel trasformarlo in un documentario, e in forma asincrona, ispirandosi in questo a Jean-Luc Godard e alla Nouvelle Vague francese.

Rossana Morriello

 

 

 

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