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ALESSANDRO CORTINI (Nine Inch Nails)

+ Prurient | Balance | Filippo Scorcucchi

16 Ottobre 2015 | Macro Testaccio | La Factory | Roma + Digitalife: Luminaria

Location suggestiva (La Factory, Macro Testaccio, nel triangolo-postribolo del “clubbing” romano). Organizzazione “ni” (Cortini è costretto ad interrompere la sua performance dopo appena 2 minuti e 27 secondi causa “black out” dell’impianto elettrico), qualità delle performance ottime.

La caustica apertura del concerto è affidata a Filippo Scorcucchi (LSWHR, Lunar Lodge..), anima analogica turbata la cui performance mi è piaciuta parecchio per le ambientazioni plumbee dai contorni nebbiosi, freddi e metropolitani. Loop acidi, sipari assolutamente desolanti e vibrazioni grigie, indefinibili.. che hanno generato un clima pesante ed opprimente, dall’inizio alla fine. Non ho potuto che apprezzare, e non poco. Cambio di palco. Arriva il duo Luciano Lamanna/Davide Ricci aka Balance, a mio avviso uno dei punti di forza dell’intera serata. Improvvisazione di altissimo livello su un modulare e microfono di un impatto incredibile. Dark ambiente digitale, con parentesi corrosive e dal retrogusto techno-harsh-noise… Il duo è uno di quelli pesanti e vincenti, capace di sintetizzare in real-time industrial, wave, ambient, noise fino ad accarezzare con la delicatezza di un caterpillar l’elettronica più acida e maleodorante. Live top-notch di qualità, gusto e di una classe immensa. E’ il turno di Alessandro Cortini (Sonoio, Nine Inch Nails e How to destroy angels), musicista di Forlì che stimo in maniera infinita e granitica da anni e che ho finalmente la possibilità di ammirare in una sua performance decontestualizzata dai clichè hollywoodiani a cui siamo abituati quando è sul palco con Trent Reznor e Nine Inch Nails. Neanche tre minuti ed è black out: elettricità saltata, ne approfitto per scambiare due chiacchiere con Alessandro. Persona gentile, affabile, intelligente come poche. Un personaggio che per me rappresenta (e gliel’ho detto riscuotendo un emozionato “grazie di cuore, apprezzo tantissimo”) la dimostrazione vivente che per fare una carriera artistica di un certo spessore sono assolutamente necessari il duro lavoro, la perseveranza, la ricerca non-stop della realizzazione attraverso lo studio e la dedizione. Lui è arrivato in cima e in questa occasione è sceso quaggiù per regalarci un live-set squisitamente personale ed emozionante. Una performance notturna, sfocata, inafferrabile e scivolosa che a mio avviso riprende con personalità e padronanza i dettami reznoriani di “Ghosts”, la “semplicità disordinata” di Brian Eno, l’imprevedibilità di Atticus Ross e la sregolatezza di Richard D. James in molte parentesi. Alessandro Cortini è capace di ipnotizzare attraverso soluzioni visionarie complicate e allo stesso tempo semplici, dove il suono diventa protagonista e le vibrazioni si rincorrono all’interno di un labirinto pieno di fumi e di nebbia. Il gusto armonico di Cortini rasenta la perfezione, così come le sue intuizioni, vere e proprie gemme a scopo terapeutico in cui non esiste più il concetto di struttura-canzone. Artista eccezionale. Performance emozionante, ermarginante, destabilizzante. Dominick Fernow aka Prurient (Cold Cave, Hospital Productions, etc.) chiude la serata, spaccandola in due ed impacchettando un live-set feroce basato sull’harsh-noise-techno diretto e senza troppi preamboli, ricco di deflagrazioni sci-fi, voci distorte fino all’inverosimile, progressioni ebm e squisite e potentissime esplosioni techno-idm. Fernow si conferma come un abile torturatore sonoro anche se devo ammettere di non sentirmi perfettamente a mio agio su questo tipo di estremizzazione. Ad ogni modo, serata parecchio interessante e decisamente proficua per quanto riguarda il know-how in fatto di grigiume industriale…

E’stata senza ombra di dubbio una grande serata e per questo ringrazio lo staff di Club to Club e LSWHR (super-interessante ed attivissimo progetto sperimentale audiovisivo) per l’accoglienza e per avermi dato la possibilità di ammirare le opere di “Digitalife: Luminaria”, rassegna dedicata alle connessioni fra le nuove tecnologie e i linguaggi artistici contemporanei ideata e prodotta dalla Fondazione Romaeuropa come sezione hi-tech del Romaeuropa Festival, quest’anno al suo trentesimo anniversario. Una mostra per la quale vorrei spendere due parole considerando lo spessore degli artisti, come Bill Vorn e il suo “Inferno”, progetto di performance robotica partecipato in cui il pubblico è invitato a indossare degli esoscheletri , i quali ordineranno agli spettatori/attori movimenti fisici del corpo, il tutto condito da una coinvolgente mix di harsh-tecno tribale. Assolutamente fantastico. Alexandra Dementieva propone “Breathless”, tre gabbie luminose che permettono di  interagisce con i valori ambientali tramite un sensore. Il visitatore può entrare nelle gabbie luminose, all’interno delle quali trova un anemometro supplementare: attraverso il semplice gesto del soffiare/respirare, è in grado di alterare il processo d’illuminazione della gabbia. Un rapporto tra vita virtuale e vita reale, che l’artista mette in scena in un’opera doppiamente interattiva e capace di restituire una visione simbolica e letterale allo stesso tempo. Incredibilmente coinvolgente l’installazione di Nicolas Barnier intitolata “Frequencies (Light Quanta)” che propone una riflessione sul valore minimo misurabile dell’energia: il Quanto. L’intero progetto si basa sulle relazioni metaforiche tra i principi fondamentali della fisica quantistica applicati ai processi di creazione audiovisiva: particelle, onde, probabilità, dualità e discontinuità. Vi segnalo Barnier anche in qualità di musicista di musica concreta, elettronica, post-rock, noise nonché per le sue performances sonore e video-art. In “temporAir”, Maxime Damecour crea un’efficace e sorprendentemente approssimazione dell’effetto visivo di montaggio cinematografico chiamato “jump cut”. L’opera è formata da un nastro di rete metallica che poggia su alcuni supporti, direttamente collegati a diffusori sonori, ed è illuminato da strisce di luci a LED. Il nastro, sollecitato dalle vibrazioni acustiche, cambia la sua posizione con piccole variazioni. Le luci stroboscopiche dividono la “scena” in frames conseguenziali, facendo percepire la presenza del nastro metallico e, come in un montaggio cinematografico, annullando la percezione del movimento fisico. La video installazione interattiva “Tourmente” di Jean Dubois permette agli spettatori d’interagire e modificare una serie di ritratti, visualizzati su uno schermo pubblico. Per farlo, questi devono semplicemente soffiare nel microfono del proprio telefono cellulare. A seconda dell’intensità del respiro, una leggera brezza o un forte vento soffierà sui volti dei video ritratti. Oltre all’effetto sorprendente, quest’opera invita a riflettere sulla condizione d’inconsapevolezza dell’individuo di essere parte in causa di certi eventi complessi. “Tourmente” tenta di eliminare i confini tra collettivo e personale, attraverso un’opera che sia giocosa, politica, virtuale e fisica allo stesso tempo. “Fuji” fa parte della serie di opere di Lemercier sul tema dei vulcani. Il progetto è stato sviluppato durante una residenza dell’artista a Takamatsu, Giappone, nel quartiere artistico dell’isola. L’opera combina un paesaggio disegnato a mano su larga scala raffigurante il Fujiyama, su cui si riversano immagini proiettate. Un ambiente immersivo multisensoriale, dove prende vita una visione immaginaria e poetica ispirata alla leggenda di Kaguya Hime, una fiaba del X secolo, elemento chiave della cultura giapponese. Tra gli altri artisti segnalo Masbedo, Pietro Pirelli, Samuel St-Aubin e Martin Messier (fantastica la sua “Boite Noire”, una teca di vetro sospesa a mezz’aria riempita di fumo e attraversata da raggi luminosi emanati da un videoproiettore le cui oscillazioni sonore, udibili dagli speaker, sono trasformate in luce).

Fabban

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