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JOE BOYD | Intervista

Laureato alla prestigiosa università di Harvard, il giovanissimo intellettuale Joe Boyd si trova proiettato in quell’epicentro di irripetibili cambiamenti sociali, culturali e di costume che Bob Dylan seppe sintetizzare mirabilmente nella sua The Times They Are A-Changing.

Dagli inizi al fianco delle leggende del blues nero da Muddy Waters a Gary Davis, poi fu nello staff organizzativo del Newport Folk (and jazz) Festival dove si esibirono da Pete Seeger a Tom Rapp e Bob Dylan, all’alba della sua epocale svolta elettrica.

Poi nei cambiamenti del jazz ad opera di Miles Davis e George Russell… Sarebbe già sufficiente a riempire una vita di musica jazz, folk e blues quando salpa per l’Inghilterra dove promuove il verbo del folk d’oltreoceano in un terreno che pensava ostile, ma che poi si rivelò particolarmente fertile. Non solo: viene folgorato dalla nuova scena del folk inglese dal lato più tradizionale di Dave Swarbrick e Ian Campbell, a quello con lo sguardo perso verso una California trasfigurata come Richard Thompson e Sandy Denny, a quella visionaria e progressiva della neonata, irripetibile Incredible String Band. Nel 1966 si trova in società con il mitico Hoppy a ospitare nel suo locale il quartiere generale della rivoluzione degli hippies e della swinging London.

All’UFO club in Tottenham Court Road si esibisce un geniale ragazzo dall’aspetto affascinante e dallo sguardo profondo: Syd Barrett e la sua band, i Pink Floyd trovano in Boyd il produttore del loro primo, mitico singolo, Arnold Layne. E poi i Tomorrow, Denny Laine (che in seguito fonderà i Moody Blues e successivamente sarà braccio destro di Paul McCartney), i Soft Machine, i Move… insomma la crema dell’underground londinese tra il 1966 e il 1967. Il locale frequentato da tutto il “beautiful people” da Paul McCartney a Pete Townshend, da Jimi Hendrix a John Lennon.

La sua carriera di produttore geniale e visionario lo porta, contemporaneamente, a scoprire il fulgido genio di Robin Williamson e dell’Incredible String Band (anch’essa periodica presenza sul piccolo palco dell’UFO), di Sandy Denny e Richard Thompson, dei primi Fairport Convention, Dr. Strangely Strange, John & Beverly Martyn e il lunare, insuperato genio di Nick Drake e tanti altri ancora prima per la Elektra poi attraverso la sua ispirata casa di produzione, la Witchseason e una stretta di mano con un altro gentiluomo geniale, Chris Blackwell e la sua Island Records.

Negli anni ‘80 lancia una sua etichetta, la Hannibal, dove esplora alcune tra le ispirazioni innovative più lungimiranti, come le implicazioni crossover tra folk e musica nera dei Songhai, oltre che a ristampare molte delle vecchie produzioni già allora irripetibili.

Ritorna dopo anni alla produzione del nuovo album di Robyn Hitchcock, di straordinaria bellezza…su Rockerilla 409 Settembre l’intervista di Massimo Marchini. 

ph Davide Rossi, nella foto Robyn Hitchcock e Joe Boyd

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