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70000 Tons Of Metal

Independence Of The Seas | Fort Lauderdale, FL (USA) – Labadee (Haiti) | 2-6 Febbraio

Dal 2011 si tiene ogni anno la crociera metal più famosa del globo: 70000 Tons Of Metal attira dal suo esordio una miriade di fans dai più svariati paesi, desiderosi di immergersi a tempo pieno durante le quattro giornate dell’evento in una vera e propria maratona metal che si tiene in un contesto unico ed esclusivo. L’edizione 2017 delle settantamila tonnellate di metallo è a bordo della splendida Independence Of The Seas, una nave da crociera della compagnia Royal Caribbean annoverata tra le più note non solo in fatto di capienza (4370 persone oltre a un migliaio abbondante di personale di bordo), ma anche per il setting prestigioso. Questo bolide marino offre quattro palchi (Pool Deck posizionato all’aperto con tanto di piscina e Jacuzzi adiacenti, Alhambra Theater, Ice Rink e Pyramid Lounge posizionati all’interno) dedicati a concerti per i palati più estremi (dai Death Angel ai Marduk, Testament, Carcass e Unleashed, solo per nominarne alcuni) e una miriade di ristoranti e bar dove i fan possono riprendere fiato tra una band e l’altra gustando un ampia scelta di prelibatezze, birre e beveraggi vari. In questo contesto, il 70000 Tons Of Metal diventa una meta ambita per molti. Le cabine della Independence Of The Seas sono ben predisposte e vengono mantenute pulitissime dal personale dedicato ad ogni piano: anche il metalhead più incallito non rifiuta un certo livello di comfort, soprattutto quando, alzandosi la mattina, si rende conto di avere davanti una scaletta di concerti imperdibili e non stop, fino all’alba. Il fatto che fan e artisti condividano lo spazio della nave per la durata del festival, aggiunge un tocco in più. Durante i quattro giorni dell’evento, è possibile non solo trovarsi di fronte ai personaggi noti del metal quali Bill Steer dei Carcass, Rob Cavestany e Mark Osegueda dei Death Angel, Fredrik Widigs dei Marduk e molti altri, ma anche chiacchierare con loro nei vari bar allestiti tra un piano e l’altro. Il festival perfetto a detta di molti, forse fuori portata per le tasche del metalhead medio: ma vale la pena di investire una parte dei propri risparmi in un occasione memorabile come questa. Anche perché ogni band suona due volte, un set durante il tragitto da Fort Lauderdale a Labadee (dove la nave si ferma e consente ai passeggeri un soggiorno nell’isola per mezza giornata, con la possibilità di prenotare escursioni e attività acquatiche) e uno al ritorno, così si è certi di non perdere nulla.

L’unica pecca: la sala stampa è praticamente inesistente, manca totalmente il supporto per giornalisti e fotografi, forse troppi da gestire professionalmente con un’organizzazione che consenta di assistere non solo ai concerti, ma anche alle conferenze stampa (come quella degli Arch Enemy), tenute all’oscuro e non rese note in un bollettino centrale.

 

Day 1

Dopo l’esercitazione antincendio obbligatoria ed eseguita con la massima disciplina, l’Independence Of The Seas salpa alle 16.00 in punto, consentendo di prepararsi per il primo concerto della giornata. Spetta agli svedesi Scar Symmetry il compito di apripista all’Ice Rink con un set di quarantacinque minuti niente male, ricco del loro tradizionale groove che mette i presenti di ottimo umore. I membri sembrano in ottima forma, in particolare il frontman Lars Palmqvist che commenta: “Per noi è stata un’esperienza molto positiva suonare al 70000 Tons Of Metal. L’energia del pubblico ci ha gasati tantissimo! Siamo definitivamente pronti a rientrare in studio per il nostro nuovo album”. Dopo un inizio così strepitoso, è la volta di una delle band più attese dell’evento, gli americani della Bay Area Death Angel. Il loro thrash super-veloce e bombastico ha pochi rivali, la voce graffiante di Mark Osegueda e le raffiche di riff micidiali di Rob Cavestany e Ted Aguilar attaccano senza limiti. Versioni dei loro classici quali Mistress Of Pain e di tracce più attuali quali Lost e Breakaway sono eseguite con precisione fulminea, a conferma che il loro è senza dubbio uno dei migliori set di tutto l’evento. Le temperature sembrano abbassarsi con il set che segue, ma è solo un’impressione. Con l’arrivo dei finlandesi del momento, i Moonsorrow, si passa alle note più profonde di un sound unico, che avvolge in un uragano di emozioni. Le luci offuscate rendono il loro set etereo grazie agli intrecci di chitarra orchestrati divinamente da Mitja Harvilahti e Janne Perttilä, interrotti a tratti dagli attacchi dei vocalizzi decisamente incisivi del frontman e bassista Ville Sorvali. Il loro set viene lasciato pochi minuti prima della fine per non perdere l’inizio dei Testament, sovrani indiscussi insieme ai Marduk, che suoneranno più tardi, dell’Alhambra Theater. Nonostante ci siano dei problemi tecnici, i Nostri non si scoraggiano e, con un Chuck Billy inferocito alla guida, condividono con i fan un set infuocato dove primeggiano versioni bombastiche di Rise Up e di Into The Pit, due vere chicche thrash adrenaliniche fino al midollo. Gli Arch Enemy mantengono le temperature esorbitanti, grazie alla presenza sul palco della frontwoman Alissa White-Gluz, ormai pluri-collaudata in formazione, e alla chitarra rovinosa del mastermind Michael Amott. Dopo un set senza grosse sorprese da parte dei Pain di Peter Tägtgren (leggi anche Hypocrisy), è la volta dei famigerati Marduk che, con un ritardo di oltre mezz’ora rispetto all’orario previsto (3.45), si presentano sul palco con la consueta determinazione e sicurezza. Alle note della maligna The Blonde Beast, il frontman Mortuus sembra volersi scagliare contro il pubblico, in preda a una rabbia incontrollabile che mantiene per tutta la durata del set, come vuole la tradizione Marduk. Anche per la formazione black metal svedese ci sono gli stessi problemi di sound riscontrati dai Testament: questi intoppi tecnici passano comunque inosservati grazie al grandeur del loro set: sono in molti l’indomani a portarli in trionfo.

 

Day 2

Con il vento in poppa, la Independence Of The Seas procede a tutta velocità verso le coste di Haiti. Già dalle prime ore del mattino la giornata si preannuncia splendida, l’oceano è calmo e il sole alto nel cielo limpido: il setting perfetto per gli americani Suffocation che sventrano il Pool Deck con il loro brutal death metal senza mezze misure. Tra il growling primitivo di Frank Mullen e i riff chirurgici e taglienti di Terrance Hobbs, alternati a cambi di tempo pesantissimi, il loro set si evolve tra solchi profondi che svegliano tutti i presenti, molti dei quali si godono il loro concerto in costume tra la Jacuzzi e la piscina. Dopo una parentesi senza troppe pretese da parte dei Revocation, la torcia viene passata agli israeliani Orphaned Land, che si piazzano tra gli standard più elevati dei set visti finora, con quarantacinque minuti di puro oblio. La voce del frontman Kobi Farhi conquista il pubblico, stipato tra le pareti dell’Alhambra Theater desideroso di non perdere un solo istante di questo set idilliaco, grazie al sound pristino ricco di tessiture orientaleggianti in contrasto con passaggi di chitarra intricati e serrati. Il set che segue merita attenzione: gli americani Dying Fetus si dimostrano una delle band più di rilievo della seconda giornata. I riff gelidi e complessi, eseguiti con rabbia incontrollabile da parte John Gallagher, e il drumming velocissimo di Trey Williams, attaccano come un plotone pronto all’esecuzione finale. Con l’umore alle stelle grazie ai set memorabili della giornata, la folla è caricata a mille per gli Overkill, che precedono i leggendari Carcass, protagonisti indiscussi dell’intero festival. Alle note dell’oscura Buried Dream, traccia di apertura del loro capolavoro Heartwork, il pubblico va in visibilio totale. Il tessuto connettivo furioso e metallico del riff di apertura lancia un getto di groove unico, che si mantiene per tutta la durata del loro set. “Cosa fate qui da noi? Non dovevate essere dagli Anthrax a quest’ora?” dichiara scherzosamente il bassista Jeff Walker, riferendosi al fatto che il set dello squadrone di Joey Belladonna è quasi in contemporanea. Si riesce facilmente a raggiungere il Pool Deck dove gli Anthrax si preparano a scagliare il loro speed thrash intramontabile. Gli anni per questo gruppo sembrano non passare mai, tra gli attacchi bombastici di Madhouse e la veemenza di I Am The Law ci si rende conto di trovarsi di fronte a delle vere glorie del metal estremo: questa loro prova live viene superata a pieni voti. Gli Annihilator non sono per niente male, ma è difficile mantenere gli standard dei predecessori.

 

Day 3

Oggi la Independence Of The Seas raggiunge Haiti e getta l’ancora a Labadee, il che consente ai fan di concedersi una pausa dai concerti per godersi la spiaggia dell’isola fino alle 17.45, quando ci si ritrova all’Alhambra Theater per il secondo set dei finlandesi Moonsorrow, che dedicano questa seconda tappa al loro ultimo album Jumalten Aika iniziando con la stupenda title track dell’album. Dodici minuti di puro oblio folk e black. Segue il set del leggendario Uli Jon Roth, reduce da una carriera pluriennale con gli Scorpion, il preludio perfetto per il secondo set dei Testament al Pool Deck, decisamente più riuscito rispetto a quello della prima giornata a livello di sound. Eliminati i problemi tecnici, Chuck Billy & co appaiono più carichi e lanciano un set distorto all’inverosimile. I Marduk propongono il loro classico Heaven Shall Burn nel loro secondo set, raggiungendo lo status di top band della terza giornata. Il frontman Mortuus oggi è decisamente più eloquente e si rivolge al pubblico con il suo tradizionale tono minaccioso, incitando a perdere il controllo alle note maligne e penetranti di veri inni black quali Infernal Eternal e The Black Tormentor Of Satan. L’atmosfera si riassesta con i finlandesi Amorphis, anche se i riff aspri e scuri del chitarrista Esa Holopainen non passano inosservati ai metallers più incalliti. I Cattle Decapitation prendono possesso del palco dell’Ice Rink, purtroppo senza il frontman Travis Ryan, impossibilitato a raggiungere i compagni per gravi motivi famigliari. I nostri comunque non deludono e insieme ai Dying Fetus, previsti alle 3.45, tengono tutti in piedi fino al sorgere del sole.

 

Day 4

L’ultima giornata parte in grande stile con il death classico e irruente di Johnny Hedlund e dei suoi Unleashed, formazione doc svedese che non ha bisogno di presentazioni. La voce cavernosa da orco del frontman e il suono rozzo e brutale incitano i presenti (tra i quali si intravvedono anche i Marduk) a creare un moshpit incontrollabile. Cavalcate forsennate, stacchi e riprese belligeranti: non manca nulla al set decisamente più prominente dell’ultima giornata. Il metal più contenuto dei Devildriver di Dez Fafara è totalmente in contrasto rispetto alle pand precedenti, ma la formazione si dimostra comunque brava e ancora capace, dopo la bellezza di quindici anni, di conquistare il pubblico grazie a un groove accattivante. I finlandesi Kalmah passano inosservati rispetto al grandeur dei Carcass, che fanno centro anche con la loro seconda prova live. Da premiare sono anche gli americani Stuck Mojo che, nonostante siano previsti in tarda serata tra gli spazi ridotti del Pyramid Lounge, non deludono, riuscendo a mantenere i loro ritmi rap gettandosi tra i temerari delle prime file in una serie di abbracci calorosi. Il set di chiusura poteva solo appartenere a loro: spetta ai Death Angel il compito di chiudere il sipario con la seconda prova ancora più dinamitarda rispetto alla prima. E per chi non ha alcuna intenzione di dormire, il 70000 Tons of Karaoke consente di continuare la baldoria fino all’orario di arrivo al porto di Fort Lauderdale alle 6.00, quando purtroppo ci si deve preparare allo sbarco e a salutare un festival indimenticabile, nonostante gli intoppi e la mancata assistenza a giornalisti e fotografi durante tutte le quattro giornate.

Fabiola Santini (testo e foto)

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